MARIO NANNI
Note biografiche

di Lorenza Miretti

Le prime esperienze artistiche di Mario Nanni (Castellina in Chianti, Siena, 1922) hanno inizio durante gli anni grossetani secondo moduli tipicamente figurativi, ma la poetica pittorica che caratterizzerà tutta la sua carriera comincia a prendere forma a Bologna dove l’artista, affascinato dalla realtà cittadina già tecnologica e meccanicistica, riporta sulle sue tele i simboli di questa nuova dimensione, con un nuovo linguaggio caratterizzato da una materia densa e pastosa e dall’accentuazione delle forme degli oggetti che, tendendo alla semplificazione geometrica, lucida e razionale, abbandonano il realismo figurativo, aprendosi ad una realtà mentale; infatti, se opere quali Disegno di un partigiano (1950) e Lo spaccalegna (1952-’53) sono ancora di matrice realista, Distributore e Cantiere (entrambi del 1954) mostrano già questo cambio di rotta.

L’abbandono della fedeltà realistica si consolida nell’adesione al linguaggio informale di cui l’artista sposa sì la gestualità spontanea ed emozionale, ma calata in una materia spessa dagli inusuali cromatismi luminosi e contaminata da entità prive di ogni riconoscibilità figurativa bensì embrionali e primigenie emergenti a brandelli tra i coaguli pastosi. Nanni si mantiene fedele, e lo rimarrà per tutta la vita, alla sua natura realista che va intensa, però, come espressione non dell’apparenza realistica, ma dell’essenza celata entro ed oltre il reale. La sua sarà sempre una rappresentazione emozionale della realtà in cui è egli stesso è immerso, rappresentazione che assumerà forme sempre diverse: il primo embrione della vita, originario e misterioso (Nuclei, 1957); l’ambivalenza dicotomica di una modernità tecnologica in bilico tra un’apparenza positivamente progressista e una drammaticità esistenziale intrinseca (i Giochi del malessere, 1968; il ciclo del Mitico computer, 1974); le destabilizzanti topografie rappresentazione di una realtà irreale (Amore mio, 1970; Geografie dell’attenzione, 1971-’72; I giochi della metamorfosi, 2000).

Nanni comincia ad essere presente in mostre importanti sin dal 1957, quando prende parte all’esposizione «14+2» al Circolo della Cultura curata da F. Lodoli che raccoglie un ampio ventaglio di ricerche sperimentali nel bolognese e, nel 1960, tiene la sua prima personale curata da M. Calvesi al Salone Annunciata di Milano. Con opere del periodo informale e post-informale, nel 1983 l’artista è invitato a esporre alla mostra a cura di R. Barilli e F. Solmi, “L’informale in Italia”, presso la Galleria Comunale di Bologna.

È già dai primissimi anni Sessanta che l’artista abbandona le istanze materiche e istintuali dell’Informale per sondare nuove possibilità creative. Originali sia la sua rielaborazione di moduli futuristi e metafisici affiancati nel medesimo spazio pittorico che il passaggio – forse sollecitato da un interesse particolare per la poetica futurista che non lo abbandonerà mai – alla sperimentazione delle valenze estetiche ed espressive di elementi meccanici e tecnologici, ben rappresentata da opere quali Macchina (1962) e Meccanismo (1963), esposte da Francesco Arcangeli nella mostra itinerante in Spagna “Giovani pittori italiani” del 1963.

Nello stesso periodo, Nanni ha però intrapreso anche un altro percorso artistico volto, questa volta, all’esplorazione e all’intervento diretto nello spazio; tale ricerca è testimoniata, tra gli altri, dalla selva di anelli sonori dei Giochi del malessere (Galleria Apollinaire, Milano, 1968); dalle lastre di alluminio ‘incise’ dal passaggio del pubblico (“gennaio 70”, Bologna, 1970, a cura di R. Barilli, M. Calvesi, T. Trini); dagli ambienti tappezzati di mappe topografiche sulle quali Nanni interviene con segni e molle di acciaio per creare un mondo ‘altro’ e inaspettato: la mappa dilata idealmente i confini della stanza, ma al contempo perde la sua natura rappresentativa del reale sconfinando nel fantastico (“Amore mio”, Montepulciano, a cura di A. Bonito Oliva); dalle ricerche sullo spazio-ambiente delle già menzionate Geografie dell’attenzione; dalle grandi macchine disarticolate e trasformabili che uniscono elementi meccanici, ludici e ironici (“VII Biennale Internazionale del Mediterraneo”, Alessandria d’Egitto, 1968; “Arte italiana 1960-1982”, Londra, 1982); dalla serie Stratificazioni: grandi pilastri dalle superfici levigate e dai cromatismi celestiali, dal cui interno tracimano conturbanti magmi, evocativi di una trucidata materialità tecnologica (Biennale di Venezia, 1984; Galleria d’Arte Moderna, Bologna, 1985 antologica a cura di F. Caroli).

La dimensione tecnologica domina poi l’andamento lineare e geometrico in bianco e nero del ciclo del Mitico computer (Galleria d’Arte Moderna, Alessandria, 1974; Galleria d’Arte Moderna, Bologna 1978), mentre il segno si riassorbe nei supporti lignei in immagini tanto ‘pulite’ quanto drammatiche in Segmentazioni (1978-’79).

È così oramai definita e inconfondibile la natura duale della sperimentazione artistica di Mario Nanni, sempre affascinato dai contrasti e pronto a tentativi di conciliazione e convivenza degli opposti: l’istintualità si unisce alla razionalità, la tecnologia alla materia organica, la drammaticità si fonde col gioco e il gesto carico di pathos con il rigore della linea.

Dal 2000, Nanni indaga e modula nuove spazialità intervenendo nuovamente su mappe trasformate in nuove strutture topografiche bidimensionali dai forti cromatismi: con gli esperimenti pittorici de I giochi della metamorfosi (Galleria Maggiore, Bologna, 2004, a cura di V. Coen), tutt’oggi al centro della sua produzione, l’artista scardina le sicurezze derivanti dalla riproduzione convenzionale su carta della realtà ambientale poiché, dietro all’apparenza al contempo ludica per certi segni, seducente per le accensioni tonali, si cela una natura mentale inquieta e straniante.